Diritto civile
Alcune fatture non mi sono state pagate. Cosa posso fare per ottenere il pagamento?
Come prevede l'art. 1219 c.c., occorre “mettere in mora” il debitore mediante la richiesta esplicita e formale di pagamento entro un termine- considerato congruo - attraverso una raccomandata a.r. ovvero una pec. Una volta spirato inutilmente il termine indicato nella lettera (la cosiddetta “monitoria”) sarà possibile richiedere al giudice competente, tramite il legale di fiducia, l'emissione di un decreto ingiuntivo.
Che cos'è un decreto ingiuntivo?
E' un provvedimento del giudice con il quale lo stesso intima al debitore di pagare al creditore la somma dovuta, oltre agli interessi – legali o di mora- e le spese legali. Il decreto ingiuntivo viene emesso sulla base della sola documentazione prodotta (fatture corredate da estratto dei libri contabili autenticato da notaio; polizze; promesse unilaterali per scrittura privata; telegrammi; assegni; cambiali ecc.) e dunque senza che venga sentita controparte.
Generalmente il decreto ingiuntivo intima al debitore di pagare entro 40 giorni dalla notifica(termine nel quale il debitore può fare opposizione); in alcuni casi, ad esempio quando si riesca a produrre una “ricognizione di debito”, il decreto ingiuntivo emesso può essere immediatamente esecutivo.
Che cosa si intende per “ricognizione di debito”?
E' qualsivoglia documentazione sottoscritta o proveniente dal debitore, nel quale quest'ultimo ammetta il proprio debito, magari promettendone il pagamento rateale ovvero a saldo e stralcio ecc. Essa è utile per poter ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo. Alcuni giudici hanno riconosciuto quali ricognizioni di debito anche le comunicazioni contenute in semplici e-mail provenienti da società debitrici.
Come ha inizio la procedura di esecuzione forzata?
La procedura esecutiva ha inizio con la notifica al debitore dell'atto di precetto, unitamente – o successivamente- al titolo di credito, che è il documento fondante la pretesa creditizia (e dunque la sentenza in copia esecutiva, il decreto ingiuntivo esecutivo, copia conforme dell'assegno bancario o circolare, o della cambiale ecc..). Il precetto contiene l'avviso di pagare, entro dieci giorni dal ricevimento dell'atto, la somma specificata nello stesso (e dunque il capitale, gli interessi legali o moratori, le spese legali liquidate nel provvedimento giudiziario e quelle derivanti dall'atto di precetto stesso). Decorsi inutilmente dieci giorni dalla data della notifica, senza che il pagamento sia avvenuto, si può procedere con il vero e proprio pignoramento.
Quali sono le tipologie del pignoramento?
Sono tre:
- mobiliare, che prevede l'espropriazione di beni mobili (ad es. gioielli, quadri di valore, automobili e natanti, ma anche arredamento di pregio e personal computer ecc..) di proprietà del debitore, al fine della vendita forzata per il recupero del credito;
- immobiliare, che prevede l'espropriazione di immobili di proprietà del debitore, al fine della vendita forzata per il recupero del credito;
- presso terzi, vale a dire l'espropriazione di beni o somme di denaro presso un terzo di cui il debitore è a sua volta creditore (ad esempio il datore di lavoro per ciò che riguarda lo stipendio, l'Inps per ciò che riguarda la pensione, la banca per quel che riguarda le somme depositate in conto corrente e così via..).
Quali sono i beni impignorabili?
Non sono pignorabili, in base all'art. 514 c.p.c., alcuni beni personali e di prima necessità del debitore e delle persone con lui conviventi (ad es. alimenti, vestiti, tavoli e sedie per la consumazione dei pasti, elettrodomestici quali la lavatrice ed il frigorifero, la fede nuziale ecc..).
Vi sono limiti alla pignorabilità di stipendi e pensioni, recentemente ritoccati in favore del debitore: non si potrà pignorare oltre un quinto dello stipendio/pensione.
Per quanto riguarda i crediti esattoriali, invece i limiti sono di un quinto, per chi percepisce uno stipendio/pensione superiore ad € 5.000,00 al mese, un settimo per chi percepisce uno stipendio/pensione tra € 2.500,00 ed € 5.000,00 al mese ed un quinto per chi percepisce uno stipendio/pensione inferiore ad € 2.500,00 al mese.
Per quanto riguarda le somme relative a stipendi e pensioni accreditate su conti correnti bancari o postali, è impignorabile una quota pari al cosiddetto “minimo vitale”, pari a tre volte l'ammontare dell'assegno sociale, se l'accredito è avvenuto prima del pignoramento e pari a una volta e mezzo l'ammontare dell'assegno sociale, se l'accredito è avvenuto dopo il pignoramento.
Nel caso di pignoramento di pensioni presso l'Inps, è impignorabile la somma pari all'ammontare dell'assegno sociale aumentato della metà. La parte che eccede tale limite potrà essere pignorata in presenza di una serie di condizioni, a seconda se si tratti di debiti alimentari o erariali.
Ho subito un incidente stradale: come devo comportarmi per ottenere un risarcimento?
In primo luogo, si dovrà richiedere l'intervento delle forze dell'ordine, che redigeranno verbale, contenente la dinamica del sinistro, nonché individuare eventuali testimoni e segnalarli agli agenti verbalizzanti. Contestualmente, sarebbe opportuno che i veicoli coinvolti redigessero e sottoscrivessero il modulo di Constatazione amichevole (cd. CAI), da trasmettere poi in copia con raccomandata a.r. per la denuncia del sinistro alla propria compagnia di assicurazione (cd. indennizzo diretto): in tal modo vi è la presunzione che il sinistro si sia verificato secondo le modalità descritte. La compagnia dovrà formulare una congrua offerta di risarcimento entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta in caso di danni a cose, ma solo in presenza di una denuncia di sinistro sottoscritta da entrambi i conducenti coinvolti; entro 60 giorni dalla ricezione della richiesta in caso di danni a cose, qualora la denuncia di sinistro sia sottoscritta dal solo danneggiato;
entro 90 giorni dalla ricezione della richiesta in caso di danni alla persona.
Cosa faccio, se il risarcimento propostomi dalla Compagnia di assicurazione non mi soddisfa?
Il risarcimento proposto si basa su una stima dei danni operata da medici legali della compagnia di assicurazione. Per poter “trattare il sinistro”, si dovrà richiedere la perizia di un medico legale di fiducia, così da confrontare la quantificazione operata dalla compagnia con la perizia del proprio medico. Se non si raggiunge un accordo sull'offerta proposta, trascorsi 60 giorni (in caso di danni ai soli veicoli) o 90 giorni (in caso di lesioni di lieve entità) dalla data di richiesta di risarcimento danni inviata all'impresa assicuratrice, si potrà esperire un'azione legale contro la stessa.
Mi verranno liquidate le spese mediche sostenute e quando potrò ottenere il risarcimento del danno sofferto?
Occorrerà conservare tutti gli scontrini delle spese mediche sostenute che verranno risarcite dalla compagnia, unitamente alla liquidazione del danno, non prima che il certificato del medico di base attesti l'avvenuta guarigione clinica. Solo da allora, si potrà “trattare” la liquidazione del sinistro.
Nel mio condominio, che ne è privo, vogliono costruire un ascensore; abito al primo piano e non lo utilizzerei: posso sottrarmi alle spese relative?
Salvo che non siano presenti all'interno dello stabile persone diversamente abili, essendo l'installazione di un ascensore condominiale un'innovazione gravosa, ai sensi dell'art. 1121 c.c., i condomini che non intendono trarne vantaggio possono non partecipare alle spese.
Quanto tempo ho per impugnare una delibera assembleare?
La delibera assembleare può essere impugnata se è gravemente pregiudizievole della cosa comune, se tutti i partecipanti non sono stati adeguatamente informati dell'oggetto della deliberazione oppure se la deliberazione concernente innovazioni o altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione sia stata decisa senza le maggioranze previste dall'art. 1108 c.c. ovvero se tali innovazioni non sono dirette al miglioramento della cosa o a renderne più comodo o redditizio il godimento o che siano eccessivamente gravose. L'impugnazione si deve proporre avanti al giudice ordinario entro trenta giorni dalla delibera ovvero dalla comunicazione della stessa se il condomino dissenziente era assente.
E' vero che anche per impugnare la delibera assembleare la mediazione è obbligatoria?
E' vero: ai sensi dell'art. 5 D.Lgs 28/2010 chi intende esercitare in giudizio una controversia in materia di condominio è tenuto preliminarmente ad esperire il procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale.
Sono proprietario di un immobile, che ho dato in affitto; l'inquilino non paga il canone da mesi: posso sfrattarlo?
Per poter dare inizio alla procedura di sfratto per morosità, occorre che vi sia un regolare contratto scritto di locazione immobiliare ad uso abitativo o commerciale, e che:
- in caso di locazione ad uso abitativo: il conduttore non abbia pagato una mensilità, decorsi venti giorni dalla scadenza prevista, oppure non abbia pagato, nel termine previsto, gli oneri accessori per un importo pari o superiore a due mensilità del canone (art. 5 della legge n. 392/1978);
- in caso di locazione ad uso commerciale: il criterio valutato dal giudice per la concessione o meno dello sfratto per morosità è quello dell’inadempimento di non scarsa importanza, ex art. 1455 c.c.
Cosa si intende per termine di grazia e quando può essere richiesto?
In caso di sfratto per morosità di un immobile locato ad uso abitativo, l’art. 55, 1° comma, della legge n. 392/1978 dispone: “La morosità del conduttore nel pagamento dei canoni o degli oneri di cui all’articolo 5 può essere sanata in sede giudiziale per non più di tre volte nel corso di un quadriennio, se il conduttore alla prima udienza versa l’importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per gli oneri accessori maturati sino a tale data, maggiorato degli interessi legali e delle spese processuali liquidate in tale sede dal giudice”.
Nel caso in cui il pagamento dei canoni scaduti non avvenga in udienza, il Giudice può concedere al conduttore, di fronte a provate condizioni di difficoltà, il cosiddetto “termine di grazia”, che è un termine perentorio di 90 giorni entro il quale il conduttore dovrà saldare l'intera morosità (tale termine può essere aumentato fino a 120 giorni, se l'inadempienza non sia superiore a due mesi e sia dovuta a comprovate precarie condizioni economiche del conduttore). L’avvenuto adempimento verrà verificato dal Giudice nella successiva udienza fissata nei dieci giorni successivi alla scadenza dei 90 o 120 giorni.
Posso sfrattare l'inquilino, se non è stato né stipulato, né registrato regolare contratto di locazione?
Sarà possibile ottenere il rilascio dell'immobile, solo attraverso un'azione che accerti l'occupazione senza titolo del proprio immobile. Infatti, a seguito della entrata in vigore della legge 431/98, articolo 1, la forma scritta per i contratti di locazione è prevista a pena di nullità ed il locatore, per rientrare in possesso del bene, non potrà agire in forza della locazione, ma solo avviare una causa ordinaria, nella quale contestare l'occupazione senza titolo della propria unità immobiliare, con contestuale richiesta alla condanna dell'occupante al pagamento di una somma, a titolo di indennità di occupazione.
Ho subito un intervento chirurgico e il medico ha commesso un errore: come mi devo comportare per ottenere un risarcimento del danno subito?
Una volta raccolta tutta la documentazione medica relativa alla terapia e ottenuta dalla struttura ospedaliera una copia della propria cartella clinica, occorrerà sottoporsi ad una visita specialistica del proprio medico di fiducia, che nella propria perizia rileverà la presenza o meno di un errore medico.
Nel caso in cui venga accertata l'imperizia del medico che ha effettuato l'operazione, il danneggiato dovrà richiedere il risarcimento del danno a quest'ultimo, nonché alla struttura all’interno del quale l’evento dannoso si è consumato. Essi dovranno aprire il sinistro professionale presso la propria compagnia di assicurazione, e così potrà aver inizio l'iter per il risarcimento dei danni.
Ho sentito parlare della cosiddetta legge Balduzzi: quali modifiche ha apportato questa legge, in tema di responsabilità medica?
Mentre la struttura sanitaria risponde da sempre a titolo contrattuale, in forza di un contratto atipico di spedalità, ovvero di un contratto atipico a prestazioni corrispettive, più problematica è l’individuazione dell’esatta natura della responsabilità del singolo medico che opera nella struttura sanitaria. A maggior tutela del paziente, sul finire degli anni '90, la storica sentenza della Corte di Cassazione, Sezione III, 22 gennaio 1999 n. 589 statuisce che anche il medico, così come già accadeva per la struttura sanitaria, sia tenuto a rispondere del proprio operato, in forza del cosiddetto “contatto sociale qualificato” che si instaura tra lui e il paziente; alla luce di tale tesi, l'attività del professionista sarà sottoposta alle norme della responsabilità contrattuale.
L'emanazione della legge 8 novembre 2012, n. 189 (c.d. legge Balduzzi), ha creato non pochi problemi interpretativi, facendo nascere il timore che il legislatore abbia voluto ripristinare, in favore del medico, la vecchia responsabilità aquiliana, più svantaggiosa al danneggiato. All'art. 3 si legge infatti che: «L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo». Se da un lato, si delimita la responsabilità penale del medico ai soli casi di colpa “grave”; dall'altro sembra delinearsi una responsabilità medica di natura extracontrattuale, con rilevanti conseguenze sia in ordine all’onere della prova (a carico del paziente) sia in ordine al termine di prescrizione della relativa azione (cinque anni e non più dieci). In attesa di un intervento della giurisprudenza che faccia chiarezza, appare opportuno poter concludere, seguendo l’orientamento maggioritario, che l’intenzione del legislatore sia stata quella di alleggerire il trattamento del sanitario sul piano penale rimanendo indiscusso che sul piano civile il medico continui a rispondere a titolo contrattuale.
Sto per comprare un immobile e devo redigere con il promittente venditore un contratto preliminare di compravendita. Cosa devo inserire in questo contratto?
Il contratto preliminare è un vero e proprio contratto che obbliga sia il promittente acquirente che il promittente venditore, alla stipula del contratto definitivo: in esso quindi devono essere contenuti tutti gli elementi essenziali del contratto definitivo, pena l'invalidità dello stesso.
Tali elementi sono: il consenso delle parti, la forma scritta, la esatta determinazione del bene immobile, con indicazione dell’indirizzo, delle caratteristiche dell’immobile che si vorrà trasferire (dati catastali, allegazione di planimetrie, attestato di prestazione energetica) e il prezzo della vendita. E' bene, tuttavia, inserire anche altre clausole, dette accessorie, così da evitare problematiche in sede di stipula del contratto definitivo. Ad esempio, è opportuno sottoporre il preliminare alla condizione sospensiva della preventiva vendita della propria abitazione e/o all'ottenimento del mutuo. Altre frequenti clausole accessorie sono: l'apposizione di un termine (semplice o essenziale) per la stipula del contratto definitivo; il pagamento di una somma, a titolo di acconto o di caparra confirmatoria, l'inserimento di una penale, a titolo di risarcimento del danno, in caso di inadempimento, ecc.
Si consiglia poi di procedere alla trascrizione del contratto preliminare nei pubblici registri immobiliari, al fine di renderlo opponibile nei confronti dei terzi (in questo modo, cioè, non saranno vincolanti per il promittente acquirente eventuali vendite successive effettuate dal promittente venditore successivamente alla trascrizione). Inoltre la trascrizione ha un effetto “prenotativo”, vale a dire che, quando si otterrà il trasferimento definitivo, gli effetti del trasferimento retroagiranno sostanzialmente alla data di trascrizione del preliminare.
Ho appena acquistato un immobile di nuova costruzione, che da poco ha evidenziato numerose crepe lungo le pareti perimetrali, dovute al cedimento del massetto e ad altri gravi difetti del sottofondo. Quale norma potrà venire in mio soccorso?
L'art. 1669 c.c. dispone che , in caso di edifici o di altre cose immobili destinate per la loro natura a lunga durata, l'appaltatore sia responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, per i vizi del suolo o per difetto della costruzione, che comportino rovina in tutto o in parte dell'immobile ovvero evidente pericolo di rovina o gravi difetti, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta e comunque entro i dieci anni dalla consegna dell'opera. E' necessario pertanto che i gravi difetti siano occulti e non riconoscibili al momento del collaudo previsto dall’art. 1665 c.c. Per gravi difetti si devono intendere non solo i fenomeni che influiscono sulla staticità, durata e conservazione dell'edificio, espressamente previsti dalla citata norma, ma anche tutte i vizi che incidano sulla sua struttura e sulla sua funzionalità globale. Diversa fattispecie è quella prevista dall'art. 1667 c.c., che disciplina i casi di difformità o vizi lievi In tale ipotesi l'acquirente/committente dovrà denunciare all’appaltatore/venditore il vizio entro sessanta giorni dalla scoperta dello stesso e comunque non oltre i due anni dalla consegna dell’opera, trascorsi i quali l’azione è prescritta. Dal momento che spesso il costruttore/appaltatore è anche il venditore dell'immobile, la giurisprudenza ha da tempo esteso la disciplina prevista per il solo contratto di appalto anche al venditore-costruttore di immobili e simmetricamente anche la posizione del committente è stata estesa all’acquirente.
Che cosa comporta il diritto al risarcimento da “Vacanza rovinata”?
Con l'entrata in vigore del cosiddetto Codice del Turismo (D. Lgs. 79/2011), oltre a specifici obblighi di risarcimento posti in capo alle agenzie viaggi (relativi ai danni alla persona o ai beni del turista), è stato riconosciuto anche il risarcimento del c.d. danno da Vacanza rovinata, definendolo come risarcimento correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all'irripetibilita' dell'occasione perduta, in caso di inadempimento o inesatta esecuzione delle prestazioni che formano oggetto del pacchetto turistico (che non siano di scarsa importanza).
A questo fine, in caso di inadempimento contrattuale, si consiglia di precostituirsi, sul luogo della vacanza, delle prove che attestino l'inadempimento suddetto: fotografie dei luoghi non corrispondenti ai dépliant, ovvero di quelli non igienicamente idonei ecc.
Per quanto attiene alla prescrizione, il Codice del Turismo si riporta agli art. 44 e 45, che prevedono prescrizioni di un anno se vi sono stati danni alle cose e di tre anni se vi sono stati danni alla persona (nel caso inadempimento di prestazioni di trasporto comprese nel pacchetto turistico, il termine prescrizionale è di un anno- se il trasporto è avvenuto in Europa- o di diciotto mesi se il trasporto ha avuto inizio o fine fuori dall'Europa).
Ho comprato un oggetto online e mi sono pentito dell'acquisto: posso restituirlo? Come devo comportarmi?
Secondo le normative vigenti, il consumatore può recedere da un contratto online, senza alcuna motivazione e senza costi aggiuntivi, entro 14 giorni dalla data della consegna del bene, mediante l'invio di raccomandata a.r. ovvero la compilazione di apposito modulo online predisposto dal venditore stesso; nel caso in cui il consumatore non sia stato adeguatamente informato sul suo diritto di recesso, il termine si protrae di un anno. Il consumatore deve restituire il bene sostanzialmente integro entro 14 giorni dall'esercizio del diritto di recesso; il venditore ha l'obbligo di rimborsare i pagamenti ricevuti dal consumatore, utilizzando lo stesso metodo di pagamento usato dal consumatore, comprese le spese di consegna, entro 14 giorni dalla ricezione della notifica di recesso, ma può ritardare il rimborso se non ha ricevuto le merci o una prova del loro invio.
E' onere del consumatore la prova dell'invio del modulo/raccomandata del recesso.
Vi sono alcuni casi in cui il diritto di recesso non è consentito, ad esempio, la fornitura di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati; la fornitura di beni che rischiano di deteriorarsi o scadere rapidamente; la fornitura di registrazioni audio o video sigillate o di software informatici sigillati che sono stati aperti dopo la consegna; la fornitura di giornali, periodici e riviste ad eccezione dei contratti di abbonamento per la fornitura di tali pubblicazioni.
Diritto di famiglia
Che cosa s'intende per comunione e separazione dei beni?
Si tratta dei due diversi regimi patrimoniali che regolano la vita dei coniugi.
Il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di un diverso accordo tra i coniugi, è quello della comunione dei beni.
I coniugi possono stabilire di volere la separazione dei beni sia al momento della celebrazione del matrimonio (rendendo apposita dichiarazione al celebrante) ovvero prima o dopo la cerimonia, con atto pubblico stipulato avanti il notaio e poi trascritto nell'atto matrimoniale.
Le differenze tra i due regimi riguardano:
gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio (ad esclusione di quelli relativi a beni personali), i frutti dei beni e gli interessi, i proventi delle attività dei due coniugi e le aziende costituite dopo il matrimonio e gestite da tutti e due i coniugi che, nella comunione, appartengono ad entrambi in parti uguali, mentre nella separazione dei beni vengono attribuiti solo al coniuge che ha effettuato l'acquisto ovvero che ne è divenuto proprietario, ovvero che è titolare dell'impresa.
Tra i beni personali non rientranti nella comunione, elencati nell'art. 179 c.c., vi sono, ad esempio, quelli acquisiti anche dopo il matrimonio per donazione o successione; quei beni appartenenti ai coniugi prima del matrimonio; i beni acquisiti a titolo di risarcimento di danno.
Non siamo sposati e abbiamo deciso di lasciarci: come tutelare i nostri figli minori?
In questo caso è possibile regolare consensualmente i rapporti genitoriali avanti al Tribunale ordinario civile di residenza dei minori, con un ricorso nel quale si devono indicare dettagliatamente le condizioni che disciplineranno il rapporto genitori-figli e l'esercizio della responsabilità genitoriale (affidamento, mantenimento, casa familiare...). L'assistenza di un legale è facoltativa, ma caldamente consigliata.
Quali sono i doveri dei nonni verso i nipoti, in caso di genitori indigenti?
Ai sensi dell'art. 316 bis c.c., quando i genitori non hanno i mezzi sufficienti per mantenere la prole, i nonni (ascendenti) sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli. Dovere che potrà essere fatto valere anche attraverso una sentenza del Tribunale.
E' vero che oggi si può divorziare dopo sei mesi dalla separazione?
Sì. La legge 55/2015 ha modificato la legge sul divorzio (L. 898/1970) riducendo i tempi per poter ottenere la cessazione degli effetti civili del matrimonio ovvero lo scioglimento del matrimonio. Mentre prima occorrevano almeno tre anni dalla separazione per poter divorziare, con la nuova riforma bastano sei mesi dalla separazione consensuale e un anno da quella giudiziale. Il termine decorre sempre dalla comparsa dei coniugi alla prima udienza dinanzi al Presidente del Tribunale.
Che cos'è la negoziazione assistita in ambito di separazione e divorzio?
È un nuovo istituto – entrato in vigore il 9 febbraio 2015 (D.L. 132/204 covertito nella L. 162/2014)- consistente nella possibilità, per i coniugi che vogliano separarsi o divorziare, o modificare le precedenti condizioni di separazione o divorzio, in modo consensuale e proattivo, di farlo mediante un accordo sottoscritto, con la partecipazione dei rispettivi legali di fiducia, e senza la necessità di rivolgersi al giudice. L'accordo deve essere trasmesso dagli avvocati (nel termine di dieci giorni se vi è la presenza di figli minori, maggiorenni incapaci, portatori di handicap od economicamente non autosufficienti) al pubblico ministero presso il Tribunale competente, il quale, se non ravvisa irregolarità o condizioni contrarie all'interesse dei minori ecc., comunica il nulla-osta agli avvocati. Una volta autorizzato l'accordo è equiparato ai provvedimenti giudiziali che definiscono analoghi provvedimenti in materia. L'avvocato ha il dovere di trasmettere – pena una forte sanzione- entro dieci giorni l'accordo autorizzato all'Ufficiale dello Stato Civile del Comune ove il matrimonio è stato celebrato, iscritto o trascritto, per tutte le incombenze necessarie.
Tutto il procedimento è straordinariamente rapido rispetto all'analogo procedimento innanzi al Tribunale.
Quando posso richiedere la modifica delle condizione di separazione o di divorzio?
Le condizioni di separazione e divorzio possono sempre essere modificate, ma solo nei casi in cui sia siano verificati eventi successivi e non conosciuti prima, che vadano ad incidere sulle condizioni economico-patrimoniali, lavorative o personali di uno dei coniugi, come ad esempio il licenziamento, la diminuzione consistente del proprio reddito o, viceversa, un miglioramento tangibile del reddito dell'ex-coniuge, la convivenza more uxorio del coniuge beneficiario del mantenimento, l'insorgenza o l'aggravamento di una patologia, il raggiungimento dell'indipendenza economica del figlio ecc.
Ho un parente molto anziano che fatica a provvedere a se stesso: posso richiedere la nomina di un amministratore di sostegno e in che modo?
L'amministrazione di sostegno è un istituto introdotto nel 2004 (L.6/2004) per tutelare le persone che, anche solo temporaneamente o parzialmente, siano nell'impossibilità di provvedere ai propri interessi, senza dover affrontare un procedimento per inabilitazione o interdizione.
A Milano non è necessaria l'assistenza di un avvocato – sebbene venga consigliata.
Si richiede tramite un ricorso al giudice tutelare (presso il Tribunale del luogo di residenza dell'amministrando), che può essere proposto dallo stesso soggetto beneficiario, dal coniuge o dal convivente, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado (es. cognato, genero o nuora), dal tutore o curatore, dal pubblico ministero.
Chi può essere nominato amministratore di sostegno?
Può essere nominata la persona indicata dal ricorrente ovvero, in presenza di gravi motivi e avendo riguardo alla cura e agli interessi del beneficiario, il Giudice sceglie – se possibile- tra i seguenti soggetti: il coniuge non separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre e la madre, il figlio o il fratello o la sorella, parenti entro il quarto grado e altri soggetti specificati nel codice civile.
Non possono essere nominati amministratori di sostegno gli operatori dei servizi pubblici o privati che hanno in cura o in carico il beneficiario.
Quali funzioni ha l'amministratore di sostegno e quanto costa?
L'amministratore di sostegno, tenendo conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario, lo assiste nel compimento di atti giuridici, nelle scelte che incidono sulla sua vita, nell'ordinaria e straordinaria amministrazione dei beni mobili ed immobili (in questo caso, con l'autorizzazione preventiva del giudice tutelare), con l'obbligo di una rendicontazione economica periodica, attraverso la presentazione di una relazione sulla gestione e sulla almeno annuale.
Quali sono i tempi per presentare la dichiarazione di successione, dove si deve presentare e chi la deve presentare?
La dichiarazione di successione va presentata entro un anno dal decesso, presso l'Agenzia delle Entrate competente per territorio (l'ultima residenza del defunto); è sufficiente che la presenti uno solo degli eredi. Si può redigere personalmente, ma la complessità della materia rende opportuna l'assistenza di un notaio o di un legale.
Che cosa vuol dire lesione di legittima?
La legge riconosce ad alcuni soggetti (il coniuge e i figli), chiamati “legittimari”, il diritto ad una quota di eredità, indipendentemente dalle stesse volontà del defunto. Il legittimario, qualora rilevi che l'eredità sia stata distribuita violando le regole di divisione previste dal codice civile, potrà, entro dieci anni dall'apertura della successione, intentare una causa – detta appunto “per lesione della quota di legittima” al fine di recuperare quanto spettantegli. Ciò vale anche nel caso vi siano state donazioni nel periodo in cui il de cuius era ancora in vita.
Che cos'è la diseredazione?
La diseredazione è un istituto, in virtù del quale dovrebbe essere consentito al testatore di escludere eredi legittimi dalla successione. Dottrina e giurisprudenza si sono però più volte interrogate circa l'ammissibilità di tale istituto nel nostro ordinamento: ad esempio è possibile che un padre diseredi il proprio figlio? Chi è contrario alla diseredazione reputa che l'art. 587 c.c. non possa che avere contenuto positivo, nel senso che si può solo disporre circa la sorte dei beni dopo la morte (e non decidere di “non disporre”). Inoltre, il fatto che manchi nell'ordinamento vigente una norma espressa autorizzatoria della clausola di diseredazione, condurrebbe ad escluderne l'ammissibilità. Secondo l'orientamento a favore della ammissibilità della diseredazione, invece, la clausola sarebbe valida, anche in mancanza di disposizioni positive, purché il testamento contenga anche altro tipo di disposizioni: il testatore potrebbe validamente escludere dall'eredità, in modo implicito o esplicito, un erede legittimo, purché non legittimario, a condizione, però, che nel testamento venga indicato a chi attribuire i beni ereditari. In ogni caso, nell'uno e nell'altro senso, i legittimari non potrebbero mai essere diseredati. Spesso viene confusa la diseredazione con l'istituto dell'indegnità, che prevede – solo per cause gravi previste dalla legge e tassative – l'esclusione dall'eredità del soggetto (anche se legittimario) che ha tentato di uccidere il disponente, che ha falsificato il testamento, che ha tentato con violenza di far revocare il testamento ecc....
Si può pignorare un bene immobile di provenienza ereditaria?
Secondo la nota sentenza della Corte di Cassazione n. 11638/14, in materia di espropriazione immobiliare, qualora il pignoramento ricada su un bene immobile di provenienza ereditaria e l'accettazione dell'eredità non sia stata trascritta da parte dell'erede debitore, la vendita coattiva del bene pignorato potrà avvenire solo dopo aver accertato con sentenza la qualità di erede del debitore esecutato.
Diritto amministrativo
Ho ricevuto una cartella esattoriale da Equitalia: cosa devo fare?
Occorre preliminarmente precisare che è opportuno ritirare sempre le raccomandate inviate presso la propria residenza perché, in ogni caso, ai sensi dell'art. 140 c.p.c., esse vengono considerate come regolarmente notificate anche in caso di mancato ritiro.
Si precisa altresì che la ricezione di una cartella esattoriale presuppone il mancato pagamento di addebiti/tributi la cui corresponsione era stata necessariamente già richiesta con un avviso di mora/ intimazione.
Una volta aperta la busta occorre procedere nel modo seguente:
a) verificare la natura degli addebiti/tributi contenuti nella cartella esattoriale: tasse, imposte locali, ammende in violazione del codice della strada ecc.;
b) verificare l'anno di riferimento del debito e l'ente impositore;
c) verificare la data di notifica dell'avviso di mora/intimazione.
Si ricorda che ogni addebito/tributo ha solitamente un numero di identificazione che viene riportato in tutte le comunicazioni successive.
Tali passaggi sono importanti per permettere al debitore di verificare se la cartella esattoriale debba essere pagata oppure no.
Infatti vi potrebbero essere idonei motivi – ad esempio aver già corrisposto la somma a suo tempo richiesta ovvero l'intervenuta prescrizione dei tributi richiesti, ovvero aver già ottenuto una pronuncia giudiziale positiva contro l'addebito o un precedente provvedimento di sgravio- per poter richiedere lo sgravio ad Equitalia in autotutela o addirittura per poter ricorrere all'autorità competente (Giudice di Pace per le ammende stradali e Commissione Tributaria per tasse ed imposte) ed impugnare così la cartella.
Importantissimo: le impugnazioni di cui sopra possono essere esperite entro e non oltre 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale (eccetto alcuni specifici casi, relativi ad esempio alle multe stradali).
Che cosa si intende per ricorso in autotutela?
Se si accerta che il tributo richiesto è già stato pagato, ovvero che è caduto in prescrizione, si potrà comunicare tale circostanza ad Equitalia, mediante l'accesso al suo sito https://servizi.equitaliaspa.it/equitaliaServiziWeb/home/login.do (tramite le credenziali richieste) e chiedere direttamente lo sgravio – allegando i documenti giustificativi.
Con la riforma introdotta dalla legge di stabilità del 2013, Equitalia è tenuta a sospendere la cartella esattoriale, ad esaminare la domanda e a trasmetterla all'ente impositore, il quale provvederà allo sgravio.
Interessante novità introdotta dal legislatore: se dopo 220 giorni l'ente impositore non provvederà a rispondere, la cartella decadrà automaticamente.
Quando si prescrive una cartella esattoriale? E quando si prescrivono i tributi?
La cartella esattoriale, per poter essere considerata valido titolo esecutivo, deve riferirsi naturalmente a crediti non ancora prescritti.
Pertanto occorrerà tenere presente i differenti termini di prescrizione previsti dalla legge per i diversi tributi:
1) si prescrivono in cinque anni, ad esempio:
- le imposte comunali quali TASI, IMU, ICI, TARI (imposta sui rifiuti), TOSAP (tassa di occupazione spazi ed aree pubbliche);
- i contributi INPS e INAIL;
- le contravvenzioni al codice della strada
2) si prescrivono in dieci anni, ad esempio:
- il canone Rai;
- le imposte di registro e catastale;
- l'Iva, l'Irpef e l'Irap.
Secondo un recente orientamento della Corte di Cassazione (sentenza n. 20213/15, depositata in data 08.10.2015) una cartella esattoriale, se non suffragata da un titolo di accertamento- condanna divenuto definitivo, si prescrive sempre in cinque anni.
Ho ricevuto avviso da parte di Inps / da parte di Inpdap con cui l'istituto mi chiede la restituzione di un'ingente somma di denaro, quale presunta indebita prestazione previdenziale ricevuta dall' ente per la pensione cd provvisoria. Cosa posso fare?
Spesso l'Inps/Inpdap procede al calcolo definitivo della pensione in tempi molto lunghi rispetto all'erogazione della pensione provvisoria e, accorgendosi di errori (presunti o reali) di calcolo, richiede all'assistito la restituzione dei presunti indebiti, di cui il pensionato non ha alcuna colpa.
In questi casi, occorre sempre tenere a mente che anche i debiti nei confronti della Pubblica Amministrazione si prescrivono in dieci anni, qualunque sia il motivo dell'indebito.
Per l'importo restante, la Giurisprudenza tributaria maggioritaria (vedasi ad easempio Corte dei Conti - Sez. Giurisd. Piemonte- con sentenza n. 137 del 26 aprile 2005) considera applicabile gli artt. 204 e segg. del DPR 1092/1973, che escludono esplicitamente la ripetizione dell'indebito nei confronti del percipiente nel caso in cui questi abbia ricevuto le somme in buona fede e sia trascorso un tempo così lungo da indurre nel medesimo il ragionevole convincimento che le somme risultino effettivamente dovute.
Dal punto di vista procedurale, occorrerà prima depositare un ricorso amministrativo presso l'Istituto di Vigilanza dell'ente ed in seguito, in caso di diniego o mancata risposta entro 120 giorni, si potrà ricorrere alla Corte dei Conti competente per territorio, quale Giudice Unico delle Pensioni.
Vista la delicatezza della materia, si consiglia di farsi assistere da un Avvocato.
Diritto del lavoro
Ho sentito dire che la disciplina del cosiddetto “demansionamento” è stata modificata di recente. Mi può spiegare meglio?
Sì, è così. Per “demansionamento” si intende l'assegnazione ad un lavoratore di mansioni riconducibili ad un livello inferiore rispetto al suo inquadramento contrattuale.
Immaginiamo ad esempio un impiegato che svolga mansioni di concetto con una certa autonomia operativa, come individuato dal CCNL di appartenenza, che venga adibito al semplice smistamento della posta o alla funzione di magazziniere.
Prima della riforma del c.d. Jobs Act l'art. 2103 c.c. prevedeva che il prestatore di lavoro dovesse essere adibito alle mansioni per le quali era stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che avesse successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore aveva diritto al trattamento corrispondente all'attività svolta, e l'assegnazione stessa diventava definitiva, ove la medesima non avesse avuto luogo per sostituire un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi, e comunque non superiore a tre mesi. Ogni patto contrario era considerato nullo.
La nullità di ogni patto contrario, anche in assenza di diminuzione della retribuzione, aveva come ragione principale il riconoscimento e la convinzione che la qualifica professionale costituisse un vero e proprio diritto soggettivo del lavoratore.
Con le modifiche apportate dal D.Lgs. 81 del 15 giugno 2015, art. 3 comma 1, la disciplina prevede che in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali o nei casi previsti espressamente dai CCNL di appartenenza, il lavoratore può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore “purché rientranti nella medesima categoria legale”.
Tale demansionamento dev'essere comunicato per iscritto e non deve comportare mutamento né nell'inquadramento formale del lavoratore, né tantomeno del trattamento retributivo, fatti salvi tuttavia quegli elementi della busta paga collegati a particolari modalità di svolgimento della precedente prestazione lavorativa (ad es. l'indennità di cassa per il maneggio di denaro ecc.), che verranno meno.
Vi è di più: quando ad essere in bilico è lo stesso posto di lavoro, nell'interesse alla conservazione dell'impiego è possibile che il lavoratore e il datore stipulino degli accordi, nelle sedi protette o avanti alle commissioni di certificazione, che prevedano non solo il demansionamento ma anche l'adeguamento della retribuzione verso il basso.
Tale circostanza può essere fatta valere anche in caso di interesse “all'acquisizione di una diversa professionalità” o al “miglioramento delle condizioni di vita”.
Resta ferma la nullità di ogni patto in violazione della normativa suindicata (ad es. demansionamento non comunicato per iscritto o carente di motivazione).
Mia moglie tra circa un mese darà alla luce il nostro primogenito: ho sentito parlare del congedo di paternità ma non ho ben chiaro di cosa si tratti.
Il cosiddetto congedo di paternità è stato istituito dall'articolo 4, comma 24, lettera a), legge 28 giugno 2012, n. 92.
Esso si rivolge ai padri lavoratori dipendenti (anche pubblici), anche adottivi e affidatari, entro e non oltre il quinto mese di vita del figlio, o entro e non oltre il quinto mese dall'adozione o affidamento.
Il congedo obbligatorio è fruibile dal padre entro il quinto mese di vita del bambino (o dall’ingresso in famiglia/Italia in caso di adozioni o affidamenti nazionali/internazionali) e quindi durante il congedo di maternità della madre lavoratrice o anche successivamente purché entro il limite temporale sopra richiamato. Tale congedo si configura come un diritto autonomo e pertanto è aggiuntivo a quello della madre e spetta comunque indipendentemente dal diritto della madre al proprio congedo di maternità. Il congedo obbligatorio è riconosciuto anche al padre che fruisce del congedo di paternità ai sensi dell'articolo 28 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (vale a dire incaso di morte o grave infermità della madre ovvero di abbandono, o in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre).
Ai padri lavoratori dipendenti spettano due giorni, anche non continuativi, per gli eventi parto, adozione o affidamento, avvenuti fino al 31 dicembre 2017; quattro giorni di congedo obbligatorio, che possono essere goduti anche in via non continuativa, per gli eventi parto, adozione o affidamento avvenuti dal 1° gennaio 2018 e fino al 31 dicembre 2018 ( l'articolo 1, comma 354, legge 11 dicembre 2016, n. 232 - legge di bilancio 2017- ha infatti prorogato il congedo obbligatorio per i padri lavoratori dipendenti anche per le nascite e le adozioni/affidamenti avvenute nell'anno solare 2017 ed ha previsto, per l’anno solare 2018, l’aumento del suddetto congedo obbligatorio da due a quattro giorni).
Il congedo facoltativo del padre è invece condizionato alla scelta della madre lavoratrice di non fruire di altrettanti giorni di congedo maternità. I giorni fruiti dal padre anticipano quindi il termine finale del congedo di maternità della madre.
Il congedo facoltativo è fruibile anche contemporaneamente all'astensione della madre e deve essere esercitato entro cinque mesi dalla nascita del figlio (o dall’ingresso in famiglia/Italia in caso di adozioni o affidamenti nazionali/internazionali), indipendentemente dalla fine del periodo di astensione obbligatoria della madre con rinuncia da parte della stessa di uno o due giorni. Infine, il congedo spetta anche se la madre, pur avendone diritto, rinuncia al congedo di maternità.
Il citato art. 1, comma 354, della legge 11 dicembre 2016, n. 232, non ha prorogato per l'anno 2017 il congedo facoltativo, ripristinandolo invece nella misura di un giorno per gli eventi parto, adozione o affidamento avvenuti dal 1° gennaio 2018 e fino al 31 dicembre 2018.
Per i giorni di congedo obbligatorio e facoltativo, il padre lavoratore dipendente ha diritto a un'indennità giornaliera a carico dell'INPS pari al 100% della retribuzione.
Il padre lavoratore dipendente deve comunicare al proprio datore di lavoro le date in cui intende usufruire del congedo almeno 15 giorni prima. Se richiesto in concomitanza dell'evento nascita, il preavviso si calcola sulla data presunta del parto.
Nei casi di pagamento a conguaglio (articolo 3 del decreto ministeriale del 22 dicembre 2012), per poter usufruire dei giorni di congedo il padre lavoratore dipendente deve comunicare in forma scritta al datore di lavoro le date di fruizione.
Nei casi di pagamento diretto da parte di INPS, la domanda si presenta online all'Ente attraverso il servizio dedicato, ovvero attraverso il contact center dell'Inps o enti di patronato.
Diritto penale
Quanto tempo ho per presentare la querela? Da quando si calcola il tempo per la decorrenza dei termini?
La querela è un atto formale con cui la vittima di un reato denuncia l’illecito subìto alle autorità competenti e dichiara la propria volontà a che venga avviato un procedimento penale nei confronti dell’autore.
Ci sono reati che possono essere perseguibili anche solo di ufficio, senza la necessità di una querela (che può essere utile, ma non indispensabile); sono quei reati di maggior impatto sociale per cui la Procura, appena a conoscenza della notizia di reato, effettua le indagini necessarie per l’apertura del procedimento (ad esempio: omicidio, rapina, estorsione, ecc).
Ci sono invece dei reati per i quali la querela è necessaria affinché vengano iniziate le indagini. Tali reati, quali ad esempio il furto semplice, le lesioni, la diffamazione, la truffa, ecc…, sono quelli che colpiscono maggiormente la sfera privata del singolo e per i quali lo Stato non apre un procedimento di ufficio, ma solo a querela di parte.
In questo caso, la vittima, vale a dire colui che ha subito l’illecito, deve presentare querela entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto di reato. Si badi bene: dal giorno in cui è venuto a conoscenza dei fatti oggettivi e soggettivi che costituiscono il reato, non dal giorno in cui il reato è stato commesso.
Per determinati reati, quali i reati sessuali o nello stalking il termine per esperire la querela è più lungo, cioè di sei mesi dalla data in cui si è appreso il fatto: questo per garantire alla vittima un più ampio diritto di difesa.
Quali sono le differenze tra querela, denuncia ed esposto?
Spesso si sente parlare di denuncia- querela, ma questo termine è usato impropriamente, perché si tratta di due istituti differenti, sebbene molto simili.
Proprio perché vi sono reati che sono perseguibili di ufficio, e altri che sono perseguibili solo a querela, non sarà sufficiente presentare una denuncia per aprire un procedimento per un reato perseguibile esclusivamente a querela. Viceversa, nel caso di delitto perseguibile di ufficio sarà sufficiente la presentazione di una denuncia-notizia di reato.
La querela poi può essere presentata solo dalla parte lesa, ed è una denuncia contenente anche la richiesta di punire il reo, mentre la denuncia semplice non è altro che una notizia di reato presentabile da chiunque.
Infine, ancora differenti da questi due istituti è l’esposto, un atto presentato all’autorità di pubblica sicurezza, con il quale si segnala un dissidio tra privati, al fine di risolvere la lite. Tale fatto non necessariamente costituisce reato; se invece lo concretizza, e costituisce un delitto procedibile di ufficio, allora esso sarà a tutti gli effetti una denuncia, che darà il via alla apertura di un procedimento penale